Un abbraccio e una preghiera per i medici italiani caduti durante l'epidemia di Covid-19Un abbraccio e una preghiera per i medici italiani caduti durante l'epidemia di Covid-19 

 

Introduzione

Sin dai primi anni 2000 è stato riconosciuto che l'esposizione (acuta e cronica) ad elevate concentrazioni di inquinanti atmosferici come monossido di carbonio, ossido e diossido di azoto, anidride solforosa, ozono, piombo e particolato (Particulate Matter – PM) è associata ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, in particolare infarto del miocardio, ictus, aritmie, scompenso cardiaco e, in minor misura, arteriopatia periferica e tromboembolismo venoso.
Le maggiori evidenze riguardano il PM 10 e 2,5 e la loro associazione con la mortalità CV e con la cardiopatia ischemica.

Fig.1 Rappresentazione schematica delle associazioni epidemiologiche fra gli inquinanti atmosferici e le malattie cardiovascolari.

ass fra gli inquinanti atm e malattie cardio

I risultati più consistenti riguardano la componente del particolato atmosferico (PM10 e PM2,5) rispetto agli inquinanti gassosi (NO2, CO, SO2, O3). Le associazioni più forti sono con la cardiopatia ischemica, seguita poi dallo scompenso cardiaco e ictus ischemico. Meno robusta è la relazione con la patologia aritmica, mentre solo pochi studi hanno riguardato l’associazione con la l’arteriopatia periferica (peripheral artery disease – PAD) o con il tromboembolismo venoso (venous thromboembolism – VTE).

Non solo le polveri sottili (PM 10, 2,5 e 1) ma anche altre sostanze presenti nell’aria come diossine, policlorobifenili (PBC) e pesticidi (interferenti endocrini) possono concorrere a danneggiare l’apparato cardiocircolatorio e ad accelerare lo sviluppo della malattia aterosclerotica.

Il particolato fine (particelle <2,5 micron) penetra facilmente nel circolo polmonare e si diffonde in tutti gli organi e apparati a cominciare da quello cardiocircolatorio dove danneggia la parete interna dei vasi, rendendoli meno elastici e più stenotici, contribuendo ad aumentare la PA e ad affaticare il cuore. Inoltre, facilita la trombosi.

Principali ipotesi patogenetiche

  1. Nell’ Ipotesi Trombotica l'inalazione di PM e la sua deposizione nei polmoni, specialmente delle particelle molto fini, porta a una risposta infiammatoria polmonare e al rilascio di citochine nel circolo sanguigno, che a sua volta determinano un aumento della coagulazione del sangue e la formazione di trombi. L'esposizione cronica al PM può anche favorire lo sviluppo della malattia coronarica.
  2. Nell’ Ipotesi Neurologica si suppone che le particelle inalate possano influenzare il sistema nervoso autonomo, o per stimolazione diretta attraverso i recettori nel tratto respiratorio, o indirettamente attraverso l'infiammazione e il rilascio di citochine, anche se il meccanismo esatto non è ancora chiaro. Gli effetti derivanti sul ritmo cardiaco possono poi portare ad aritmie potenzialmente anche fatali. È stata proposta anche una terza ipotesi mediante la quale il particolato ultrafine e/o i suoi componenti solubili potrebbero entrare nel flusso sanguigno e avviare direttamente uno stato di infiammazione sistemica simil-endotelite in siti diversi dal polmone, come per esempio nel fegato. Alcune particolari categorie di persone tra cui i soggetti diabetici sarebbero particolarmente suscettibili agli effetti acuti cardiovascolari dell’esposizione al PM

Bibliografia

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  5. Al-Kindi SG, Brook RD, Biswal S et al Environmental determinants of cardiovascular disease: lessons learned from air pollution Nature Reviews Cardiology 2020; 17:656–672

a cura di
Franco Bergesio